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Cannabis light: una sentenza delle Sezioni Unite potrebbe mandare tutto in fumo.

Dall’inizio del mese di Maggio i media hanno iniziato ad approfondire la questione “Negozi di erba legale“.
Si discute circa la liceità di queste attività commerciali che nell’ultimo anno hanno registrato una crescita pari al 75% e che non sembra arrestarsi.

Il polverone, sollevato da Salvini proprio durante il periodo dello scandalo Siri, ha evidenziato la forte spaccatura che c’è a livello politico e giuridico.

Proprio per questo, il 31 Maggio, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite sarà chiamata a stabilire un indirizzo univoco.

In particolare dichiara il questore Pignataro di Macerata: “La sentenza delle Sezioni Unite avrà il fine di analizzare e esaminare il contrasto sorto tra le varie pronunce passate delle diverse Sezioni emesse in tempi e occasioni differenti riguardanti la liceità degli interventi di polizia giudiziaria compiuti a Macerata”

Sulla questione si è espresso anche Marola, fondatore di Easyjoynt, che spiega il motivo per cui è attesa la sentenza a fine maggio: tutto nasce dal conflitto tra la legge del 2016 sulla canapa light, che ammette la vendita di articoli con un THC inferiore allo 0,2, e la legge unica sugli stupefacenti. E aggiunge: “In un anno mezzo di sentenze delle varie sezioni della Cassazione, le prime erano assolutamente contrarie a questi esercizi commerciali, ma da quando è aumentato l’approfondimento sul fenomeno dal punto di vista giuridico, altre sezioni sono arrivate a giudizi con motivazioni molto più ricche e favorevoli alla commercializzazione del fiore. L’ultima sentenza della sesta sezione dice che è possibile la vendita della cannabis light, che il limite da considerarsi corretto per il THC è lo 0,6% e che non serve la destinazione d’uso, perché se questa viene definita su quel prodotto, si limita la sfera delle libertà individuali”.

 

Marola puntualizza: “Quando vi è una difformità di interpretazione tra diverse sezioni, si va alle sezioni unite. In questo modo, si ha una normativa definitiva e si decide una volta per tutte. E’ quello che noi chiedevamo due anni fa. Noi siamo nati per quello, provocando le istituzioni (e penso che ci siamo riusciti) per arrivare a capire perché non si possa vendere un fiore privo di alcun effetto drogante, tutelato dalla legge italiana, dalle direttive europee e dal manuale degli stupefacenti delle Nazioni Unite”.
Su 800 attività commerciali a inizio 2018 si calcolano circa 1500 contratti di lavoro. Ci sono poi oltre 2.000 aziende agricole che si occupano della produzione di Cannabis legale. La caratteristica che lega tutto questo fenomeno sia sul piano produttivo, sia su quello commerciale, è la nascita di una nuova forma di imprenditoria giovanile. Sono cioè nuovi lavori e nuovi posti di lavoro, e spesso di persone che prima erano senza lavoro.
Conclude infine Marola soffermandosi sull’acquirente-tipo dei negozi di Cannabis legale: “Non è affatto il ragazzino, ma l’acquirente ha almeno 30 anni. E cerca la cannabis light non per sballarsi. La cannabis che sballa la trova nella piazzettina dietro l’angolo. Il consumatore tipo di cannabis light è consapevole delle caratteristiche dei fiori di canapa e di tutti gli altri cannabinoidi legali che non sballano. Li vedo io nel mio negozio: sono più le persone cinquantenni che soffrono di insonnia e che vengono a comprarsi la canapa light, con cui si fanno le tisane oppure se la fumano. Ci sono anche tantissime persone che prima usavano marijuana con THC alto e – chiosa – adesso utilizzano la cannabis light perché gli restano la parte gestuale, il sapore e il gusto. Ci sono altri che vogliono smettere di fumare tabacco e si fanno le sigarette con la canapa. A questo punto, mi aspetto che le istituzioni di un Paese importante come dovrebbe essere l’Italia abbia gli strumenti per profilare e capire questo fenomeno, anziché spararla grossa”.